- Tutto va bene, - disse Zoraide: - domani Ettore sarà come se non avesse avuto male. Ma, e Ginevra, dov'è? ne avete trovata la traccia?
A Brancaleone tornò il fiato in corpo sentendo le nuove di Fieramosca, e rispose:
- Ginevra è nella rôcca in buone mani, e presto la potrete vedere; ma, ditemi: Ettore sarà poi guarito veramente? Dopo domani si dovrà combattere.
- Ebbene, combatterà.
Una certa espressione misteriosa che accompagnava le parole di Zoraide stimolò la curiosità di Brancaleone, il quale volendo saper più precisamente di che sorta fosse il male del suo amico, udì che era stato ferito, ma leggermente, nel collo, senza però che Zoraide gli parlasse del pugnale avvelenato. Tuttavia non vedendo naturali le espressioni della giovane, seguitò ad interrogarla, ma non gli riuscì di cavarne spiegazioni più chiare.
- V'è una favola fra noi in Levante dicea Zoraide, sorridendo mestamente che racconta d'un leone del deserto, al quale un topo salvò la vita. Di più non vi voglio dire, e vi basti sapere che fra poche ore il braccio d'Ettore sarà forte come il collo d'un toro selvaggio. Ora però non v'è da far altro fuorchè lasciarlo in quiete; domani si sveglierà a tempo per potersi mettere in ordine; io ritorno vicino a lui per esser pronta ad ogni bisogno; fidatevi di me: dell'arte di curar ferite ne son maestra, e ne ho saputo sanare di più pericolose.
Brancaleone, visto che non gli rimaneva altro a fare presso il ferito, raccomandò a Zoraide che quando Ettore si fosse svegliato lo racquetasse sul conto di Ginevra, gli annunziasse il combattimento pel giorno vegnente, gli dicesse che sarebbe venuto egli stesso sul mezzogiorno, ove non fosse comparso prima di quell'ora in città. Rimasti così d'accordo, se ne ritornò a Barletta, ove, prima d'andarsene a casa, volle passar dal castello per sapere che ne fosse di Ginevra.
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