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      Questi tutto armato, fuorchè il capo, su un gran cavallo nero coperto di una gualdrappa vermiglia ricamata in oro, alzava la fronte grave ed ardita verso i suoi, aspettando in silenzio la tromba. Aveva accanto un suo paggio, bel giovane di sedici anni, vestito di cilestro, colle calze color di carmino, e varj caposquadra dell'esercito in diverse attitudini che, malgrado la loro immobilità, mostravano non so che d'energico e di marziale. A misura che s'avvicinava il momento, venivano a tutti mancando le parole; al più, s'udiva qualche monosillabo bisbigliato sommessamente fra' vicini; ed in questa quiete che dava all'adunanza un aspetto grave e solenne risonava solo di tempo in tempo lo scalpitare ed il nitrir dei cavalli, che tenuti in riposo e ben pasciuti, non potevan ora star fissi nell'ordinanza, rodevano i lunghi freni dorati, li coprivan di spuma, facendo arco del collo e della coda; e, rizzandosi sui piè di dietro, sbuffavano colle nari tese e sanguigne, e parevan dagli occhi gettar faville.
      È difficile ai giorni nostri formarsi un'idea dell'aspetto marziale d'un uomo d'arme di quel tempo, coperto tutto di ferro esso e 'l cavallo. Ogni cavaliere colla visiera abbassata, chiuso nell'arnese, collo scudo al petto e la lancia alla coscia, inforcava una sella, i cui arcioni ferrati s'alzavano avanti e dietro come due ripari che rendevano quasi impossibile il cadere; incastrato così, stringendo le ginocchia, era talmente aderente al cavallo, che tutti i suoi moti gli si comunicavano con quell'unità che dovrebbe legare le due nature del centauro.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322