Si mossero alla fine gl'Italiani, non colla prima celerità, che la stanchezza lo vietava ai cavalli, molti dei quali per le violente scosse dei freni avean la bocca coperta di spuma sanguigna. Alzarono i cavalieri più forte il grido di "Viva Italia!" e malgrado l'instare degli sproni, vennero a ferire d'un galoppo grave e sonante. Nonostante le leggi promulgate al principio, fu tale la smania di curiosità che invase a quel punto gli spettatori, che il cerchio formato da loro all'intorno s'andò progressivamente stringendo. Gli uomini che avean la cura di mantener l'ordine, curiosi più degli altri, anch'essi seguiron quel moto concentrico, come vediamo succedere quando in piazza si caccia il toro, che al principio ognuno sta saldo al suo luogo, ma quando un cane comincia ad attaccarsegli all'orecchio, e poi se n'attacca un altro, e quasi hanno fermato il loro nemico, nessun può più star a segno, crescon le grida, gli schiamazzi, si scioglie l'ordine, ognuno si spinge avanti per veder meglio.
In mezzo alla fila di nuovo schierata degli Italiani s'era posto Fieramosca, il quale aveva il miglior cavallo; ed ai suoi lati, a mano a mano quelli che l'aveano meno stanco, o più corridore; cosicchè nell'andar addosso ai nemici il centro si spinse avanti, figurando un cuneo, del quale Ettore era alla punta. Quest'ordine fu tanto ben mantenuto che, giunto al ferire, sforzò la fila dei Francesi senza che potessero porvi riparo. Qui sorse una nuova zuffa più serrata, più terribile che mai: al numero, al valore, alla perizia degli Italiani s'opponevano sforzi più che umani, disperazione, rabbia del disonore imminente ed inevitabile: i prodi ed infelici Francesi, fra un turbine di polvere, cadevano insanguinati sotto le zampe de' cavalli, si rialzavano afferrandosi alle staffe, alle briglie de' vincitori; ricadevano, spinti, maltrattati, calpestati, rotolandosi sotto sopra, mezzo disarmati, cogli arnesi infranti, e pur sempre sforzandosi di riaversi, raccogliendo in terra pezzi di spade, tronchi di lancia, e perfino sassi onde ritardar la sconfitta.
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