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      Ettore, il primo, alzò il grido onde lasciasser l'impresa e si rendesser prigioni; ma appena era udito in quel fracasso; o se l'udivano, negavan coi fatti, soffrendo muti quelle orribili percosse; ed ebbri pel furore, seguitavano la mirabil difesa. De' quattro che eran ancora in sella al principio di questo ultimo scontro, uno era caduto, e si difendeva a piedi; a due erano stati morti i cavalli: il quarto, preso in mezzo, era stato fatto prigione. Sarebbe impossibile il descrivere tutti gli strani accidenti, i colpi, gli atti disperati che accaddero in quegli ultimi momenti, dei quali fra gli spettatori rimase per molti anni una memoria di maraviglia e di orrore.
      De Liaye, per dirne uno, fu veduto afferrare a due mani il freno di Capoccio romano, per istracciargli, se potesse, o togliergli la briglia; il cavallo se lo cacciò sotto colle zampate, ma non potè mai farsi lasciar dal Francese, che trascinato pel campo fu condotto in tal modo innanzi al signor Prospero, e ci vollero molti ajuti e molte braccia, tanto era fuor di se stesso, a fargli aprire le mani e porlo fra i prigionieri. Alla fine parve agli Italiani stessi troppo crudel cosa seguitare una simil battaglia; il gridar di Fieramosca fu imitato dagli altri, e tutti insieme sospeso il ferire, venivan dicendo a quei pochi superstiti: "prigioni... prigioni".
      Fra il popolo cominciò un bisbiglio, crebbe, e senza che valesse l'opposizione degli araldi, minciaron voci e poi schiamazzi ed urli onde finisse il combattere, ed i Francesi avesser la vita salva: rotti gli ordini, s'eran stretta la turba intorno ai combattenti, che si trovavano chiusi in un cerchio di trenta o quaranta passi di diametro: chi gridava, chi faceva svolazzar fazzoletti e cappelli, quasi sperando di partir così la battaglia; chi si volgeva ai giudici ed ai padrini.


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Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta
(Racconto)
di Massimo d'Azeglio
Borroni e Scotti
1856 pagine 322

   





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