- Cari! Io non mi sarei mai immaginata d'avervi dato tanto da fare. E chi m'ha insegnato a parlare?
- Noi, sempre noi, rispose la mamma. Ti pigliavo sulle ginocchia e ti facevo ripetere i nomi del babbo, mamma, finchè non eri in grado di dirli bene da te. E da quelle parole facili, siamo andati via via alle più difficili. Poi ti abbiamo insegnato a leggere.
- Di questo me ne ricordo benone. La mamma diceva una parola: per esempio, ago. Mi faceva distinguere il suono delle vocali, eppoi me le scriveva, sulle tavolette o me le faceva cercare nel libro. E quando le avevo trovate, mi regalava un santino, un grappolo d'uva o un balocco.
- Ma se non avessimo avuto tanta cura della tua personcina: se, in una parola, ti avessimo abbandonata a te stessa, che sarebbe avvenuto di te?
- Sarei morta o malata, o stupida. Oh che buoni genitori m'ha dato il Signore!
- Eppure, a questi buoni genitori che t'amano tanto, tu dai qualche, volta dei dispiaceri: sei bizzosa, svogliata, disobbediente.
- Babbo, ti prometto che da qui avanti non avrai più motivo di lamentarti di me: sarò buona e rispettosa: vedrai!
Questa conversazione fece un grande effetto sull'animo dell'Enrichetta: e quando vedeva la mamma tutta propensa pel suo fratellino, ed era testimone delle sue trepidazioni, della sua pazienza, della sua bontà, diceva a sè stessa: "La poveretta si è data lo stesso daffare anche per me." Questo pensiero le ispirava molta tenerezza per i genitori, e la confermava sempre maggiormente nei suoi buoni propositi.
| |
Enrichetta
|