E anche nel mangiare era la stessa storia. Non le piacevano le patate, l'erba le dava il dolor di stomaco, la minestra di riso la nauseava, la carne grossa le era indigesta. Insomma era un vero struggimento.
E la mamma, che era una donna di giudizio, voleva avvezzar bene la sua bambina, nè poteva certo menarle buoni tutti quei dàddoli.
- Io voglio far di te una giovane sana e robusta, le diceva spesso: e affinchè tu diventi tale, è necessario che tu ti avvezzi per tempo al sole, alla pioggia, ai venti: che tu pigli l'abitudine ai cibi grossolani, alle vesti ruvide, ai letti duri. Si sa come si nasce e non si sa come si muore, bambina mia. E perchè tu intenda meglio i vantaggi d'una vita sobria e severa, ti racconterò la novella di Turco e di Sparalampi.
Sappi che in un paesetto del Mugello, un pastore aveva allevato due bei cani, appartenenti alla razza più stimata, sì per la forza, come per il coraggio. Quando li vide abbastanza grandi e robusti per non aver più bisogno del latte materno, pensò di regalare il più bello al suo padrone, che era un ricco signore di Firenze.
Ci volle del buono e del bello a dividere i due animali, che non intendevano di lasciarsi, ma salvo questo incidente, il regalo fu ricevuto collo stesso piacere col quale venne fatto.
A partir da quel giorno, la vita che menarono i due fratelli fu molto diversa. Il nuovo signorino, al quale venne imposto il nome di Turco, fu ammesso subito in cucina, dove non tardò ad accaparrarsi le buone grazie del servitorame, che si divertiva a vederlo sgambettare e lo compensava con una profusione di chicche e di cibi prelibati, e lui, a furia di mangiar quelle cose sostanziose dalla mattina alla sera, si era fatto tondo e grasso come un pallone: ed era diventato così pigro e pauroso, che la sola vista d'un ragno bastava per farlo allibire.
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