Ma di quando in quando ce lo nascondono a noi quei grossi nuvoloni e vapori, che si sciolgono in acqua.
E allora non bisogna più fare i balocchi nel giardino: la terra è fradicia, fangosa, piena di pozzanghere: ci sarebbe il caso di prendere un reuma o un'infreddatura, e queste cose non piacciono molto alle bambine di giudizio.
Quando piove, bisogna rassegnarsi a fare il chiasso in una stanza: non c'è tanto posto quanto in un giardino, ma quando ci troviamo in buona compagnia, non è poi un gran male a stare un po' più vicini gli uni agli altri, non vi pare?
Eppure le amiche della Livia davano a credere di amare più il giardino che non la padroncina, la quale aveva un bell'allungare il collo fuori della finestra. Le bambine non si vedevano. Che le loro mamme non volessero farle uscire a quel tempaccio? Poteva anche darsi e in questo caso non c'era da ripigliarsela con nessuno.
Livia, tanto per ingannare il tempo, prese un libro e si provò a leggere. Ma quando non si ha la testa lì, impossibile di capire una sola parola: ella vide soltanto che in quella pagina l'argomento si aggirava sugli ombrelli da acqua.
La bambina posò il libro e si mise a guardar quelli che passavano dalla strada. Ce ne erano di tutti i colori e di tutte le forme.
La Livia ne aveva uno bellino, di seta scura, che poteva servire da sole e da acqua; ciò che i francesi chiamano un en-tous-cas (in ogni caso). Sapeva che l'ombrello è una specie di tenda di seta o di cotone, arrotondata in fondo, sostenuta in alto da un manico che si tiene in mano, e raccomandata a questo manico da otto o nove stecche che la sostengono.
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Livia Livia
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