La povera Matilde era costretta a fare il bucato una volta la settimana: e noi la troviamo precisamente nell'esercizio delle sue funzioni. Guardatela: essa classifica i panni sudici della sua bambina di stucco: due paia di lenzuola di lino: quattro federine colla trina, una coperta di picchè col balzone di cambrì, due sciugamani colla frangia, tre berrettine da notte e un accappatoio ricamato. Sei camicie, parte collo sprone e parte collo scollo tondo, a guaìna, tre sottane, dieci grembiulini bianchi!!, otto paia di calze e una vera piramide di pezzuole, di golette e di trine.
Quando la Matilde ebbe appuntati, coppia per coppia, i fazzoletti, le calze, le golette e gli altri capi più minuti, buttò tutti i suoi panni in un conchino pieno d'acqua pura e si mise a smollarli. Smollare vuol dire insaponar la biancheria e stropicciarla affine di mandar via le macchie e l'unto.
Allorchè i panni furono bene smollati, la Matilde li dispose in un'altra piccola conca, elevata alquanto da terra, e forata in fondo, per lo scolo del ranno: su questa biancheria, e ben distesi sopra alcuni piccoli canevacci, la nostra mammina distese due strati di cenere bene stacciata, nella quale non si vedeva neanche un pezzettino di brace. Poi, coll'aiuto della donna di servizio, versò nella conca una data quantità di acqua bollente, la quale imbevve la cenere, filtrò a traverso la biancheria e venne a scolare fuori della conca, per mezzo del buco praticato in fondo. Sotto a questo buco, la Matilde aveva posto una conca più piccola, che riceveva il ranno, il quale rimesso via via sul fuoco a scaldarsi, veniva da lei versato regolarmente nella conca del bucato, finchè l'operazione non era finita.
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