Ei mi fu detto giá, che alcune opinioni mie non sono popolari in Italia. Tanto meglio dunque l'averle scritte: quando si scrive con vero e vivo convincimento, non si suole scriver ciň di che tutti sien giá persuasi; si scrive appunto per far passare le proprie opinioni dalla minoritá alla pluralitá. E quest'č che dá sovente piú calore agli scritti della minoritá: la brama di diventar pluralitá colle ragioni. Il che poi, sol che si potessero far correr davvero e sufficientemente le ragioni, sarebbe forse piú facile in Italia che altrove; perché, tra tutti i vizi acquistati, ella serba indestruttibili, e prime forse del mondo, le sue facoltá, le sue virtú intellettuali.
Il desiderio di rimanere indipendente, non solamente da altrui ma per cosí dir da me stesso, da ciň che possa essere in me men ragione che sentimento, mi fece fermarmi all'anno 1814. Giá lungo tutta l'opera m'era paruto penosissimo quell'ufficio storico del giudicar cosí brevemente tanti fatti, tanti uomini grandissimi; la brevitá aggiugne inevitabilmente alla severitá; le parole stringate e tronche prendono naturalmente aspetto di assolute, aspre, superbe. E giá, appressandomi a' tempi nostri, mi si era raddoppiata tal pena. Ma ei mi sarebbe riuscito intollerabile cosí giudicare gli uomini viventi, e a me non ignoti, né per benefizio né per ingiuria. Io mostrai in altro scritto non aver ripugnanza, non timor forse al discorrere delle cose presenti; ma appunto ne discorsi lá distesamente, e prendendo agio a quelle eccezioni e spiegazioni, che sole fan tollerabile un tal discorso alla coscienza d'uno scrittore.
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