Ogni politeismo è naturalmente tollerante; serbando gli dèi propri, ammette a secondari gli dèi stranieri. Del resto, tali religioni, tutto esterne di natura loro, erano in Grecia diventate giá indifferenti a chiunque vi s'internasse colla filosofia; e cosí diventarono ai romani quand'ebber bevuta quella filosofia. La religione rimase poco piú che arte politica, stromento, arcano d'imperio, in mano a' patrizi, che serbarono fino alla fine della repubblica la privativa del sommo pontificato e de' sacerdozi maggiori. - Incominciata da Socrate, Platone, Aristotele e gli altri capiscuola, questa fu la grande, la utile etá della filosofia; non ne sorgerá mai piú un'altra tale. In seno alla religione vera, restan minori di necessitá i destini della filosofia. All'incontro la filosofia greco-romana andava molto piú oltre e piú giusto nella veritá che non la religione contemporanea; e perciò fu grande ed utilissima. E perciò Cicerone, tutti i romani professavano doversi prendere da essa, eloquenza, lettere, ius pubblico e privato, costumi, ogni civiltá, ogni coltura, di preferenza che dalla religione. - Le lettere specialmente dipendettero tutte, si conformarono tutte dalla filosofia. Del resto, le romane furono sempre figliuole delle greche; fin dall'origini, quando è tradizione che Numa le prendesse da Pitagora (tradizione falsa quanto a Pitagora che fu posteriore, ma giusta nel significato nazionale); quando Demarato le portava giá dalla Grecia propria; e poi quando i romani piú rozzi conquistarono i magno-greci piú colti, e finalmente i greci coltissimi.
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