Pagina (96/750)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      E cosí avvenne allora: l'eloquenza senza affari pubblici diventò retorica, o panegirici, che suol essere lo stesso; la poesia, tragica, epica, o lirica, inceppata dalle leggi di maestá, diventò leggiera, concettosa, non efficace, non alta, non larga, versi non poesia; la filosofia resistette, die' alcuni lampi, gli ultimi forse di quell'etá; ma la filosofia, che ha pretensione di condurre ed è piú sovente condotta dalle lettere, seguí poscia anch'essa la decadenza; e la seguirono, come sogliono, le arti e le scienze stesse. Perciocché insomma le lettere che si dicono talora (appunto quando la servitú le ha fatte incapaci) la piú vana, la men positiva, la men produttiva fra le colture, son pur quelle che nutrono, ispirano e vivificano tutte le altre; ondeché, mancando la vita ad esse, manca a tutte le altre. Né servono allora i rimedi delle protezioni, o, come si suol dire, dei mecenati: non serví il vero e vivo Mecenate, non Augusto ad impedire, non Vespasiano, Tito, Traiano, Adriano, Antonino o Marc'Aurelio, a trattenere di molto la decadenza. E tutto ciò è fuor d'ogni dubbio chiarito dalla successione, dalle date degli scrittori via via minori. - Di Tibullo e Properzio, aurei ancora, si disputa in qual anno nascessero, ma si crede negli anni ancor della repubblica. Ovidio nato negli ultimi è certo il meno aureo degli aurei. Fedro, un servo trace nato piú o meno tra le due etá, è aureo di stile, ma il genere trattato da lui è di quelli minori, scelti appunto quando vengon meno i maggiori.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni: sommario
di Cesare Balbo
pagine 750

   





Mecenate Augusto Vespasiano Tito Traiano Adriano Antonino Marc'Aurelio Tibullo Properzio Perciocché Ovidio