Evidentemente, in tutte queste mutazioni non è ombra di colpe popolari; son tutte colpe di principi, d'intiere dinastie, che alcune non seppero, altre non si curaron nemmeno di diventar siciliane, napoletane, o, per dir piú e meglio, italiane. Non s'inganni forse taluno per troppa erudizione. Perché non si trovano i nomi, le idee di patria, d'Italia, cosí sovente negli scritti de' secoli addietro come del presente, non si creda perciò che fosse guari men necessario allora l'amar questa patria, l'esser buoni italiani. Queste idee sono molto utili senza dubbio a discutere, a rischiarare, queste parole a pronunziare e ripetere; ed è un bene, un progresso, che cosí si faccia ora, quando non si fa troppo ignorantemente od anche scelleratamente. Ma anche senza questi, che non sono insomma se non amminicoli, i popoli vollero e vorran sempre esser tenuti di conto, apprezzati, coltivati con attenzione, con amore da' loro principi; e chi nol fece, chi attese ad altri o ad altro, chi non seppe
nazionalizzarsi in qualunque nazione sua, italianizzarsi in Italia, sempre fu o cacciato o abbandonato da' propri popoli, alla prima o alla seconda occasione; sempre vide esso, o videro i figliuoli o i nepoti, finire lor dinastia. Non saran forse inutili queste avvertenze a intendere le storie del Regno. - Ad ogni modo, cacciato da quell'antipapa Anacleto, papa Innocenzo rifuggí a Francia; e fiancheggiato da san Bernardo, gran teologo e filosofo scolastico di quella nazione, fu in breve riconosciuto da tutti, e da Lotario stesso, che è detto da un antico, "uom devoto al diritto ecclesiastico". - Sceso quindi questi [1132] per Val d'Adige, venne a Roma [1133], vi fu incoronato da Innocenzo in Laterano (essendo il Vaticano in mano dell'antipapa): e fatto con quello un trattato per la successione di Matilde, risalí in Germania.
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