Risalito a Toscana [1329], schivò Firenze di nuovo, venne a Lucca e vendella a' parenti di Castruccio, che la riperdettero in breve: vendé Milano al figliuolo dello spogliato Galeazzo, ad Azzo Visconti che tuttavia gliene chiuse le porte; si ritrasse a Trento. V'attendeva a riunir la parte ghibellina piú che mai sfasciata, quando morto Federigo d'Austria, e movendosi i fratelli di quello, egli Ludovico corse a Germania [1330], e sparí colle fischiate di tutta Italia, lasciando senza capo la parte ghibellina, a cui era morto l'anno innanzi [1329] Can della Scala. Fu anche questo detto "il grande"; perché anch'esso seppe farsi signore di parecchie cittá, e perché sopratutto fu protettore, mecenate, ospite a letterati, fuorusciti e giullari ch'ei teneva a tavola (se credasi a' biografi e ad alcuni passi di Dante) alla rinfusa. Ad ogni modo, in mancanza d'altri, i ghibellini si gettarono in braccio a uno strano capo, Giovanni re di Boemia figliuolo di Arrigo VII, un bel giovane tutto zelante per l'imperatore, per il papa, per la pace, per qualunque impresa, vero cavaliere di ventura, precursor de' condottieri, quasi giá condottiero. Veniva a Lombardia, corteggiava i ghibellini, le cittá, otteneva la signoria di molte, finiva con venderle a parecchi signorotti, e risalire e sparire egli pure [1333]. Veda ognuno, se son perdonabili i guelfi di non aver saputo allora liberarsi per sempre di siffatti nemici. - Ma Firenze sola era savia. Ella fu che movendo una lega di cittá e signori lombardi, fece sparire Giovanni.
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