In nome d'Italia, lasci di guardare ciascuno all'idolo suo; guardiamo alla patria tutta intiera, alla condizione universale, alle importanze principali, anche scrivendo. - E cosí facendo, concorderemo poi con tutti gli scrittori contemporanei in dire: principio, èra dei nuovi guai d'Italia, del massimo di tutti, la venuta di nuovi stranieri che seguí d'appresso alla immatura morte di Lorenzo de' Medici (all'etá di quarantaquattro anni, 8 aprile 1492). Come gran cittadino repubblicano, Lorenzo non pareggiò Cosimo certamente: fu men modesto, s'accostò piú al principato; e cosí, invece di quel gran titolo di "padre della patria", non gli rimase che quello, volgare allora, di "magnifico". Com'uomo di Stato poi e grande italiano, se Cosimo fu l'inventore, l'ordinatore della grande unione di Milano, Firenze e Napoli (quell'unione, quella politica che valse, che fu una vera confederazione italiana), Lorenzo ebbe pure il merito di mantenerla in condizioni fors'anche piú difficili, con uomini certamente molto minori, anzi cattivi; di serbarla, quando pericolante; di rinnovarla, ad ogni volta che si venne guastando. E il fatto sta, che mutando nomi o luoghi speciali, secondo le occorrenze, questa unione di tre grandi principati nazionali del settentrione, del mezzo e del mezzodí d'Italia, è forse la sola confederazione possibile in Italia, la sola che possa salvare o rivendicare mai la nazionalitá di lei. Certo, era la sola a que' dí; e, spento Lorenzo, ella si spense fino a' nostri. E quindi incominciò l'etá degli Stati italiani sotto le preponderanze straniere combattute, pazientate, equilibrate, e ad ogni modo duranti, e durature Dio solo sa fino a quando.
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