Ma il vero è, che qui, piú che altrove, è a distinguere tra le grandezze relative e le positive. Che le lettere nostre del Cinquecento sieno state di gran lunga superiori a quelle contemporanee e straniere, è indubitabile; ma che elle rimangano superiori od anche eguali alle straniere piú moderne, e che perciò elle debbano imitarsi ora di preferenza o per la loro eccellenza o per dover nostro di nazionalitá, ciò non è vero e non può essere; perché non può essere che i secoli progrediti non abbiano prodotte letterature migliori e piú imitabili, che i secoli piú addietro;
perché il nostro primato di tempo esclude appunto il primato di eccellenza; e perché poi, quanto a nazionalitá ella non consiste nel non ammirar né imitar se non le cose giá nazionali, ma anzi a far nazionali quelle buone che non sono. Se Alfieri e Manzoni avessero cosí inteso il dovere di nazionalitá, essi non avrebbero aggiunto la tragedia e il romanzo ai tesori vecchi delle lettere italiane. - Né in filosofia materiale si progredí guari allora in Italia. Questo è il tempo di Copernico polacco [1473-1543]; e dicesi che la teoria di lui non fosse anche prima di lui sconosciuta in Italia; ma il fatto sta che gli astronomi d'Italia furono allora poco piú che astrologi, e son famosi quelli di tutti i principotti italiani e di Caterina Medici ed altri, che infettaron l'Europa di lor ciurmerie. Ed anche costoro vi ci diedero e lasciarono cattivo nome. La medicina fu forse delle scienze naturali quella che fece piú veri progressi.
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