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      Appunto, perché non vili originariamente, e non corrotti dalla invecchiata civiltá e dalle scellerate politiche del resto d'Italia, ma anzi nuovi, ma virtuosamente rozzi e quasi antichi erano que' piemontesi, perciò virtuosamente, alacremente soffrivano le inevitabili gravezze recate dagli stranieri, e pesanti sui principi loro non meno che su essi; e soffrendole insieme, si compativano, si stringevano, si amavano; ed insieme con amore operando, erano meno infelici nelle sventure, felicissimi ne' ritorni di fortuna. E poi, qual paragone fare tra le gravezze, tra le tasse piemontesi, fossero pure eccessive ma rimanenti in paese, e quel miliardo che lo stesso Botta accenna portato via in tredici anni dal solo Regno di qua del Faro? Qual paragone tra le vite spente sui campi, od anche tra gli stenti di guerra, e quelle spegnentisi a poco a poco sotto alle spoliazioni fatte dai viceré stranieri, e lor cortigiani spagnuoli o regnicoli, e lor donne, e lor servi, ed i servi de' loro servi? Quale sopratutto (se agli effetti umani si miri solamente) tra la stessa immoralitá, libera almeno, della corte piemontese, e quelle infami parole, "vendan le mogli e le figliuole"? No, no, non son sogni poetici o filosofici, sono realitá della natura umana (non cosí corrotta, grazie al cielo, come la dicono troppo sovente quello ed altri storici piangitori), sono realitá le consolazioni della nazionalitá, dell'unione, del sacrifizio, dell'amor reciproco di principi e popoli, concordemente soffrenti o trionfanti.


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Della storia d'Italia dalle origini fino ai nostri giorni: sommario
di Cesare Balbo
pagine 750

   





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