Noi viviamo in tempi di pace, e, dirollo francamente contro a molti di qua e di lá, virtuosa perché operosa pace, in generale. Ma se, ma quando o dove la pace nostra non fosse operosa, quando e dove somigliasse a quella oziosissima in che marciva tanta parte d'Italia nel Seicento, io m'affido che nessuno un po' altamente senziente direbbe piú siffatta pace felice. Certo che le vite degli uomini sono un gran che; certo che lo spegner vite in pace a vendetta, a profitto privato od anche pubblico, senza missione, od anche con missione, ma senza necessitá, è un gran delitto; e ciò fu mostrato, ciò svolto mirabilmente da un altro illustre scrittor nostro, il Gioberti, nelle piú belle pagine di lui. Ma in guerra, ma lá dove il sacrifizio delle vite è volontario, legittimo, bello e santo, egli è pure talor felice a chi il fa, e sempre alla patria per cui si fa; ed è, perdonamelo tu, o figliuol mio, meno crudele agli stessi sopravviventi. Senza sacrifizio della vita non si fa nulla di grande, nulla anzi di normale in questo mondo. Il mondo va innanzi a forza di vite sacrificate. Una vita divina ed umana sacrificata è il piú gran fatto della storia umana. Una intiera metá del genere umano, quella che chiamiamo la debol metá, fa il sacrifizio della vita continuamente per noi. Senza un sacrifizio uguale, senza il compenso della guerra principalmente, la viril metá rimarrebbe inferiore a quella chiamata debole; non compenserebbe sacrifici con sacrifici, non darebbe vita per vita a quelle dolci creature che gliela offrono ogni dí. E in Italia, dove pur troppo colla scemata operositá sono scemate le occasioni de' pericoli virili, non è opportuno, né virtuoso, scemar con parole la dignitá della guerra; dico, della legittima guerra in difesa o ricuperazione de' diritti della patria o della cristianitá. - E mi si perdoni essermi fermato a segnalar siffatti errori.
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