Allora era richiamato a Pisa "senza obbligo di leggere né risiedere". Risiedé a Firenze principalmente, e come in corte al granduca. Egli avea trovate giá allora parecchie conseguenze ed applicazioni del moto del pendolo, il telescopio rifrattivo, i satelliti di Giove ed altre novitá; e con queste e con vari scritti erasi fatto seguace e confermatore del sistema di Copernico, pubblicato, del resto, fin dal 1543, e tollerato d'allora in poi dalla curia romana. Ma incominciò ora un frate a Firenze ad assalirlo; e in modo degno del secolo, bisticciando sul nome giá immortale, e sul testo sacro della Bibbia "Viri galilaei, quid statis adspicientes in coelum?". E qui è da confessare, il Galileo cadde in un errore, di che fu ripreso dal Sarpi contemporaneo suo, un error da grand'intelletto speculativo mal pratico degli uomini, quello di credere di poter con ragioni tolte da una serie di cognizioni e d'idee persuader coloro che sono tutto fuori di quella serie, e tutto dietro ad un'altra. Egli il primo cambiò "la questione fisica ed astronomica in teologica", egli forse discusse con superbia acquistata dai meriti contro a superbie immeritate; e queste, urtate, si sollevarono. Andò a Roma piú volte a spiegarsi, a spiegare; ne tornò via via con divieti piú urgenti di non sostenere il sistema. Egli il promise; e non so s'io dica che vi mancò nel 1632, quando stampò i suoi Dialoghi, posciaché li fece prima approvare a Roma. Ad ogni modo, l'approvazione non bastò; nuovi frati e non-frati gli si sollevarono contro; l'Inquisizione citò il vecchio poco men che settuagenario; egli v'andò, fu processato, sostenuto in casa al fiscale dell'inquisizione, esaminato, e, dicono alcuni, negano i piú, torturato.
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