Quindi non è dubbio che l'anno 1789 è per tutto questo continente una delle epoche piú grandi e piú atte a segnare e dividere le sue etá storiche, è l'èra della sua libertá rappresentativa restaurata. Ma perché l'Italia non entrò realmente in tal restaurazione se non cinquantanove anni appresso; e perché poi in quest'Italia, che non ebbe in essi, che non ha nemmen ora l'indipendenza, la stessa questione di libertá non è (per chi senta e sappia virilmente) se non secondaria; e perché, se ciò sia vero, noi abbiamo fatto bene, e se non sia, abbiamo errato con meditata sinceritá, e non ci possiamo quindi ricredere; perché, dico, ad ogni modo abbiamo da gran tempo divisa la storia italiana secondo questo interesse primiero dell'indipendenza, e cosí chiamato quest'ultima etá delle preponderanze straniere; perciò noi non possiamo se non comprendere in essa, ed anzi nel periodo terzo delle preponderanze francese ed austriaca, i venticinque anni corsi dal 1789 al 1814. Non è condizione piú anormale all'universale civiltá, che quella d'una nazione senza indipendenza; e l'anormalitá della condizione trae seco l'anormalitá della storia. E il fatto sta che la grand'èra europea del 1789 non introdusse per noi niuna condizione, niuna mutazione, niun fatto nuovo che sia rimasto grande e durevole. Ne preparò alcuni, è vero; ora incominciamo a saperlo; preparò questa libertá che incominciamo ad avere. Ma non possiamo dire che incominciamo ad avere l'indipendenza. E finché non l'avremo, io sfido chicchessia a dire se sia finita l'etá delle preponderanze straniere.
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