Ed io intendo rivendicare parte di quella gloria per li nostri italiani che lá perirono, numerosi, prodi, fedeli, degni di lor maestri di guerra. Sventuratamente, i superstiti credettero essere stati sacrificati da questi, dietro a un ponte rotto nel ritirarsi; e se n'accese lor ira, ed io scrittore li udii pochi dí appresso a Magonza. E questo ed altri disprezzi che credettero aver sofferti da Napoleone o dal viceré, furono causa dello scostarsi gli animi di molti principali dell'armata d'Italia da que' due principi, e dell'abbandonar l'ultimo pochi mesi appresso mal generosamente, mal utilmente. L'Italia di quei tempi non seppe né respingere i Napoleonidi come gli spagnuoli, né scuoterli a tempo come i tedeschi, né serbarli quando sarebber diventati italiani. E cosí, dubitando, chiacchierando, tumultuando e non operando all'occasione, ella perdette questa che fu pure delle piú belle. Se gl'italiani avesser saputo non guardar addietro ma all'innanzi, non a vendetta ma a perdonare, dimenticare, ed alle occasioni riunirsi a coloro che le tengono in mano, gran tempo è che sarebbero indipendenti. Quando il sapranno? - Ad ogni modo, dopo la gloriosa ma finale sconfitta di Lipsia, si ritirarono i francesi poco men disordinati che in Russia, attraverso Germania sollevata, e vinsero un'ultima volta ad Hanau [30 ottobre] i bavaresi che tagliavano il passo. Passati, si raccolsero dietro al Reno, e Napoleone tornò a Parigi. Intanto, era tornato il viceré al regno d'Italia fin da dopo Lutzen, Gioacchino a Napoli dopo Lipsia.
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