Ma fu preso egli sul tempo: gli alleati precipitarono su Parigi, e addí 30 vinsero sotto alle mura facilmente re Giuseppe e Marmont, e addí 31 entrarono. E cosí cadde quell'uomo, di cui niuno potrá mai nascer piú grande per facoltá naturali, militari ed anche politiche; cadde, per l'error solo di non aver fondata sua potenza, addentro, sulla libertá, di fuori, sulla indipendenza delle nazioni; cioè, dentro e fuori, sull'amore interessato dei popoli. Vantossi egli, vantarono gli adulatori di sua sventura, che egli pure fosse caduto per quel caso imprevedibile di fortuna, quell'inverno precoce, quel vento settentrionale di Russia. Ma il cader per un caso, per un vento, mostrerebbe tanto piú che erano poco profonde le fondamenta di sua potenza. E poi, non è vero nemmen questo. Anche Napoleone cadde dopo una perduranza militarmente magnifica. Ma la perduranza, che serve sempre alle nazioni perché elle si rinnovellano, non serve sempre a un esercito che non si può rinnovellare, e non serve mai a un uomo che non sappia aver seco una nazione. Inutile sarebbe poi moltiplicar qui particolari e date, piú o men vergognose a quella nazione vicina nostra. La severitá è piú ingrata allo scrittore che a' leggitori; né a ciò è obbligato se non per la patria. Del resto, tutte le nazioni s'assomigliano quando s'avviliscono; e s'avviliscon tutte, quando (colpevoli od anche incolpevoli) elle son cadute in braccio a' stranieri. Il senato, conservatore dell'imperio, lo distrusse [2 aprile]. Napoleone abdicò [11], fu portato via.
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