E tutte le rivoluzioni incominciano cosí, per vero dire; e son famose, tra l'altre, le epoche di letizia e speranze del 1640 in Inghilterra, e del 1789 in Francia. Ma niuna arrivò al paro di questa italiana, che durò diciotto mesi di matta letizia. Del resto, fu naturale; i miseri italiani non erano avvezzi piú oramai che a due serie d'idee e di fatti: congiure, repressioni, supplizi, esigli, e di nuovo congiure di tempo in tempo, teatri, canti, amoreggiamenti, feste ne' tempi ordinari. E cessando i supplizi e lor paure, si precipitarono nelle feste. Accrebberle molti liberali per arte; volevano impegnar i principi, di che pur dubitavano; ed i settari ed altri repubblicani, che prevedevano non aver a rimaner contentati dalle riforme spontanee, apparecchiavano coi moti festosi quelli ostili della piazza. E questo, per certo, fu gran danno venuto da tale stoltezza delle feste, ma non il maggiore. Il quale fu, che questi miseri popoli italiani, disavvezzi, dico, da ogni civile opera politica o militare, se ne disavvezzarono sempre piú tra l'opera puerile delle feste, vi si contentarono, vi si sfogarono; non concentrarono, non risparmiarono, non serbarono all'occasione vera, seria, grave, fatale, tutti que' pensieri, quelle passioni che non si concitano se non dopo frenate, che son necessarie a concitarsi fino all'ultima loro potenza, per produrre effetti buoni e durevoli. E gli italiani, sciupati, stemprati dalle feste, non ne seppero piú produr di tali; niuno grande, dico, pochi durevoli, molti piccoli: diversi dispersi, inutili o nocivi.
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