- Ad ogni modo, addí 25 si rinnovò la battaglia; non ne dirò i casi, gli errori disputabili, disputati, inutilmente disputati; era perduta prima che incominciata. Ognuno dei due eserciti aveva le spalle alla base d'operazioni, al paese nemico; in tal situazione le battaglie son disperate, da ambe le parti, ma sempre svantaggiose a quella che assalita e sorpresa ha difficoltá a raccogliersi, perdute se non s'è saputa vincere prima quella difficoltá. L'esercito piemontese, soldati, ufficiali, generali, principi, vi fece prove di valore, riconosciute poi dal nemico piú generoso che i compatriotti, dall'Europa militare e che stava allora, tutta salvo il resto d'Italia, sotto l'armi. Lo sforzo principale fu del duca di Savoia a difender Custoza; non vi riuscí, non vi potea riuscire; rimasene il nome a quella giornata infausta ed immortale. Se ne ricordi e se ne penta la pigra Italia finché l'abbia fatto dimenticare. Gli errori, le spensieratezze dei capitani, son cose frequenti, solite, da computarsi in tutte le guerre, piú in queste di sollevamento ed indipendenza. Queste non si debbono fare senza computar quelli, senza porsi in grado di vincerle a forza di numero, di pazienza, di perduranza. Senza dar almeno due armate pari all'austriaca ancorata sulle sue quattro fortezze, non vi sará mai probabilitá di vincer questa. Finché l'Italia orientale, centrale e meridionale non potrá, saprá o vorrá aver un esercito secondo, vegnente sul Po ad aiutare il piemontese giunto dall'Alpi occidentali e al Mincio ed all'Adige, se lo tolga di mente, la pigra, o divisa, o disputante Italia, ella non sará probabilissimamente mai liberata da questo, per quanto generoso, ardito, temerario, devoto o sacrificato od anche meglio ordinato egli sia per essere.
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