Era naturale, i membri del parlamento e parecchi de' ministri stessi volevan ridurre al nulla, o come si disse "cacciar nelle nubi" il principe ecclesiastico, molto piú che non si volesse od osasse fare allora de' principi laici; e il papa si credeva anche piú degli altri in dovere di non soffrire tale spogliazione. Tuttavia, nemmeno a Roma nulla scoppiò finché durò
la fortuna piemontese. - Non cosí nella caldissima, anzi infocata Napoli. Dove, appena dato lo statuto, eransi giá succeduti due ministeri presieduti dal Serracapriola e dal Cariati, quando venute le notizie della guerra incominciata da' piemontesi, il popolo la chiese, il re la dichiarò e fece un altro ministero presieduto da Carlo Troya [7 aprile]. Partirono alcuni volontari primamente condotti dalla principessa Triulzi-Belgioioso, poi il decimo reggimento che per via di Toscana andò ad unirsi all'esercito piemontese e vi combatté bene; poi per le Marche fino a Bologna un esercito capitanato da Guglielmo Pepe, e partí a un tempo l'armata di mare per l'Adriatico. Ma erasi adunato intanto il parlamento siciliano addí 26 marzo; e nominatosi reggente dell'isola Ruggiero Settimo, e decretata la separazione dell'isola dal Regno e la decadenza di casa Borbone da quella corona separata, si apparecchiarono e serbaron l'armi ed armati miseramente non all'indipendenza vera e nazionale d'Italia, ma, profanando il nome, a quella che s'osò chiamare indipendenza d'una provincia italiana: era diminuzione dell'unione esistente, era disunione perpetrata allora appunto che si andava proclamando l'unitá. E quando la flotta napoletana passò lo stretto per l'Adriatico, Messina le tirò contro.
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