Nè mi saran d'uopo molte parole. La patria nostra s'è fatta felicemente studiosa delle sue memorie del medio evo; le quali, se non sono le più liete, sono certo delle più gloriose; e se talora vengono a fastidio, perchè risuscitate troppo sovente nelle opere d'immaginazione, sono pur fondamento di tutta la storia nostra, ondechè elle dovrebbero essere forse meno cantate che studiate. Quindi sarebbe opera perduta pei leggitori s'io attendessi ad insegnare loro ciò che i più hanno imparato già dal Muratori, dal Sismondi, dal Leo o da altri; e che, speriamo, impareranno in breve da tale, il quale seguendo con animo e fortuna maggiore la via contraria alla mia, salì già dallo studio de' tempi di Dante alla storia generale d'Italia.* Ad ogni modo, giova negli assunti speciali ricordare ciò che li riannoda alle cognizioni generali.
Già allo sfasciarsi dell'antico Imperio Romano, l'Italia più infelice che non le sue provincie,* era soggiaciuta non ad una, ma a tre conquiste di barbari: prima i raccogliticci di Odoacre, poi i Goti, in ultimo i Longobardi. Cagione di questa sua privilegiata infelicità, fu l'essere stata antica sede dell'Imperio; l'aver mirato gli Italiani alla restaurazione di quello; e l'averla tentata gli Imperatori orientali. Secondo tristo effetto della medesima causa fu la divisione d'Italia in Greca e Longobarda fin dal 568; dal quale in poi la penisola non fu riunita più mai. Così mentre le altre nazioni europee conquistate una o due volte al più, ebbero agio d'immedesimarsi coi conquistatori per crescere in que' bei reami or ammirati di Francia, Spagna od Inghilterra; alla Italia, non fermatasi in niuna conquista, in niuna sventura mai, toccò la peggiore di tutte; quella di mutar sempre sventura.
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