Pochi Comuni furono così prudenti da tenersi sempre illesi di siffatte tirannie.
Ed ora si vede quale dovess'essere la condizione d'Italia, quale la testè sorta e già depravata virtù. La compiuta indipendenza è la prima necessità di uno stato, qualunque sieno le forme di esso, le quali poco importano al paragone. Ad ogni forma è necessaria quella definizione e stabilità, che gli uni chiamano legalità, e gli altri con poca differenza legittimità; alla quale quanto più toccano le parti, tanto più sono pervertitrici. Le incertezze dei diritti, le infedeltà, i tradimenti, i pronti innalzamenti, le frequenti cadute, le ricchezze e le povertà subitane sono cause irresistibili di pervertimenti. E così è che la misera Italia, sorta alle virtù cittadine e private nelle virtuose lotte del secolo XII, cadeva ora nei vizi cittadini e privati tra le viziose del XIII. Nè sia chi ne accusi la sorgente civiltà. Obsoleto, e direi quasi pagano modo di pensare: credere inevitabil compagna della civiltà la corruzione, e predestinati noi ad essere alternatamente barbari o corrotti. Tal fosse o no la necessità della civiltà antica, tal non può essere nè è della Cristiana. E senza parlar d'altri secoli, non fu nel XIII la civiltà quella che corruppe; ma fu corrotta essa con ogni virtù dalla incompiuta indipendenza.
E siffatta differenza di virtù tra i due secoli XII e XIII, dimostrata da tutti i fatti della storia, e notata dagli storici che si venivano dirozzando, è descritta poi e vituperata principalmente in tutto il poema di Dante; tanto che, se non fosse questo la più magnifica tra le poesie delle lettere risorte, ei sarebbe ancora il più importante tra i documenti della nostra storia moderna.
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