Questo però non affermiamo; ma di ciò rende testimonianza Dante nel Purgatorio;34» nel quale, di fatto, Manfredi mostra al Poeta una piaga a sommo il petto.
Poi sorridendo disse: Io son Manfredi,
Nipote di Gostanza Imperadrice;
Ond'io ti prego che, quando tu riedi,
Vadi a mia bella figlia, genitriceDell'onor di Cicilia e d'Aragona,35
E dichi a lei il ver, s'altro si dice.
Poscia ch'i' ebbi rotta la personaDi due punte mortali, io mi rendei
Piangendo a quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei;
Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
Che prende ciò che si rivolve a lei.
Se 'l Pastor di Cosenza, ch'alla cacciaDi me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia,
L'ossa del corpo mio sarieno ancoraIn co' del ponte, presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia, e muove 'l ventoDi fuor del regno, quasi lungo 'l Verde,
Ove le trasmutò a lume spento.
Purg. III. 112-132.
Poco andò, e Napoli, col regno tutto, fu di Carlo, che vi entrò colla sua regina Beatrice, l'ambiziosa Provenzale, che l'avea mosso a quell'impresa. L'ingresso fu di gran pompa: carri dorati, gran damigelle e ricchi addobbi d'ogni sorta vi si videro. Manfredi era stato colto e splendido, ma non prodigo; ed avea, dicesi, un tesoro nel castello di Capua. Dove trovato ora da re Carlo, e comandando ad Ugo del Balzo,* un suo cavaliere, di partirlo, e di prender perciò le bilance: Che mestieri ci ha di bilancie? rispondea questi, e ne faceva co' piedi tre parti: questa sia di monsignore il Re, questa della Regina, e questa de' vostri cavalieri.
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