Piacque l'atto al re, e gli diè la contea d'Avellino. Da queste pompe, da questi ori, da questi scialacqui, dicono gli storici, incominciasse la mutazione dei costumi d'Italia. Ma, dico io, già erano corrotti gli Italiani, poichè si lasciavano vincere con tal facilità; essi che non cento anni prima aveano vinto ben altro uomo, ed altro principe, Federico Barbarossa Imperadore. Ma contro a Federico s'erano mossi i popoli, i padri de' Guelfi, la parte e l'opinione nazionale e virtuosa; contra Carlo non s'alzavano se non i Ghibellini, la parte dei pochi e degli stranieri, mal atta a chiuder la patria contra altri stranieri, e peggio contro a tali che prendean nome dalla parte nazionale.
E sì che fatta appena questa mutazione nel regno, ne successe quella di quasi tutta Italia. Brescia, Cremona, Piacenza, Parma si rivolsero di Ghibelline in Guelfe. Pisa ghibellina diè 30,000 lire per rimanere in pace. A Firenze poi, addì 11 novembre, si sollevarono i Guelfi, facendo raunate e serragli contro al conte Guido Novello, già vicario di re Manfredi pe' Ghibellini, il quale, occupata la piazza, ma non credendo poterla tenere, sgombrò dalla città, portandone via le chiavi a Prato; onde poi volle invano tornare il giorno appresso. Rientrarono quindi i fuorusciti Guelfi a Firenze; ed ordinato il governo sotto XII Buoni Uomini, diedero poi la signoria per dieci anni a re Carlo, che vi mandò d'anno in anno un suo vicario. Poscia, addì 16 e 17 aprile 1267, furono cacciati i Ghibellini; e nell'agosto seguente vennevi di passaggio re Carlo, e vi fu dal comune «onoratamente presentato, e con pallio e armeggerie trattenuto.
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