All'incontro, quasi tutti gli altri Comuni d'Italia erano giunti ad uno di questi periodi peggiorati; aveano sfogata lor gioventù in quelle lotte; erano caduti nelle esagerazioni e nei danni di quella rivoluzione, di che Firenze (valendosi della sperienza altrui) non prendea se non i vantaggi. Le altre erano già arrivate ad una precoce vecchiezza, quando ella giovane e forte serbava ancora tutta la sua attività primitiva. Nell'altre s'era compiuta la rivoluzione comunale quando non era in pronto la civiltà a trarne profitto; in Firenze compievasi quando era opportuno. Anche ai tempi nostri, così fecondi di tali sperienze, vedemmo quanto vigore ed attività d'ogni sorta abbiano le genti all'uscire delle rivoluzioni, quando son brevi; quanta stanchezza, quando prolungate. Le città dell'altre provincie d'Italia, e Pisa fra le toscane, trovaronsi in quest'ultimo caso verso la metà del secolo XIII, quando la lingua e le arti erano apparecchiate a sorgere; e non ebbero più forza restante a coltivarle. All'incontro, le città toscane, Siena, Pistoja, Arezzo, Lucca e Firenze, si trovarono nel primo caso, capaci ancora di attività. Ma Firenze ne trasse il frutto principale, o perchè principale fra queste, o perchè dalla rivoluzione del 1266 ella rimase più delle altre costante, ed anzi non mutò più mai la sua parte guelfa. E se avremo a vedere, nel corso delle nostre narrazioni, e dividersi la parte guelfa, e sorgerne nuove parti, e poco mancare che ella non vi perdesse e la sorgente civiltà e l'uomo che doveva avanzarla più; volle pure la fortuna di Firenze, che quest'uomo si fosse già educato ed innalzato tanto durante la sua pacifica e lieta gioventù, da non poter più indietreggiare dagli studi, dalle opere incominciate; e che, quasi invito, servisse più di niun altro all'avanzamento ulteriore della patria sua.
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