Seguirono negoziati varii, per cui finalmente ei fu liberato alla fine del 1288; e passando per Parigi, s'avviò quindi a Italia, e fu a Firenze, addì 2 di maggio di quest'anno 1289. Era con esso il figliuolo primogenito di lui e di Maria d'Ungheria, Carlo Martello, che ebbe poi per eredità della madre il regno d'Ungheria, ma non giunse, morendo prima, a redar quello del padre. Con questo giovane, quantunque brevissimamente fermatosi in Firenze, pare che fin d'allora strignesse Dante una amicizia,127* che cresciuta poi probabilmente nelle sue ambascerie a Napoli, fu ad ogni modo più tenera e più costante, che non suole tra principi e privati. E spento il principe poi, era cantato dal Poeta con un amore, un rincrescimento, e una fiducia negli sperati benefizi, che onorano amendue, e infuturano il giovane principe più che non fanno la potenza e le imprese politiche di lui. Colloca Dante l'amico in Paradiso tra gli spiriti innamorati, e cantanti l'Osanna nel cielo di Venere; e così a sè stesso là giunto l'introduce, con questi versi pieni di serenità celestiale:
Indi si fece l'un più presso a noi,
E solo incominciò: tutti sem prestiAl tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam co' Principi celesti,
D'un giro e d'un girare e d'una sete,
A' quali tu nel mondo già dicesti:
Voi che intendendo il terzo ciel movete,
E sem sì pien d'amor, che per piacertiNon fia men dolce un poco di quïete.
Ma, a malgrado dell'antica famigliarità, non riconosciuto da Dante, e dimandato chi sia, continua:
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