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      138» E più giù reca le parole stesse di Dante in questa o in altra epistola, dove, parlando del suo priorato dell'anno 1300, dice: «Dieci anni erano già passati dalla battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta; dove mi trovai non fanciullo nell'armi, e dove ebbi temenza molta, e nella fine grandissima allegrezza per li varii casi di quella battaglia».139 Dove è a notare, che se la epistola certamente latina di Dante è qui ben tradotta, chiaro è, che non fu questo il primo fatto d'arme in che si trovasse.* Ad ogni modo, vedesi, che Dante fu della schiera di messer Vieri de' Cerchi, cioè di quei feditori che questi non volle disegnare, ma si offerirono eglino volontari. E dopo tal atto, tanto più bella parrà quella confessione così semplice della temenza molta che ebbe al principio, e della allegrezza in fine della giornata. Gran differenza, per vero dire (e fu già osservato) tra Orazio e Dante poeti. Benchè, ingiurioso è ogni paragone tra quel poeta cortigiano e racconciator di sua vita epicurea appresso al vincitore, e il poeta cittadinoBen tetragono ai colpi di ventura,
      Parad. XVII. 24.
      ed alle prepotenze della patria ingrata.
      Una reminiscenza di questa battaglia trovasi nel Purgatorio. Vedemmo ucciso il capitano degli Aretini Buonconte di Montefeltro. Caduto trafitto in Arno, il corpo di lui non si trovò più; e come ciò avvenisse, lo fa Dante immaginosamente narrare da Buonconte stesso. Dante interroga prima:
      Qual forza o qual ventura


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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