Ma a questo torneremo poi. Intanto giova trarne una narrazione che compie la presente. «Come per me fu perduto il primo diletto della mia anima, io rimasi di tanta tristizia punto, che alcuno conforto non mi valea. Tuttavia, dopo alquanto tempo, la mia mente, che s'argomentava di sanare, provvide (poichè nè il mio nè l'altrui consolare valeva) ritornare al modo, che alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi. E misimi a leggere quello non conosciuto da molti libro di Boezio, nel quale, cattivo e discacciato, consolato s'avea. E udendo ancora, che Tullio scritto avea un altro libro, nel quale trattando dell'amistà, avea toccate parole della consolazione di Lelio, uomo eccellentissimo, nella morte di Scipione amico suo, misimi a leggere quello. E avvegnachè duro mi fosse prima entrare nella loro sentenza, finalmente v'entrai tant'entro, quanto l'arte di Gramatica che io avea, e un poco di mio ingegno potea fare; per lo quale ingegno molte cose, quasi come sognando, già vedea, siccome nella Vita Nova si può vedere. E siccome essere suole, che l'uomo va cercando argento, e fuori della intenzione trova oro, lo quale occulta cagione presenta, non forse senza divino imperio; io che cercava di consolare me, trovai non solamente alle mie lagrime rimedio, ma vocaboli d'autori e di scienza e di libri, li quali considerando, giudicava bene, che la filosofia, che era donna di questi autori, di questi libri, di queste scienze, fosse cosa somma. E immaginava lei fatta come una donna gentile; e non la potea immaginare in atto alcuno se non misericordioso, perchè sì volentieri lo senso di vero l'ammirava, che appena lo potea volgere da quella.
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