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      E tanto crebbe il furore, che il popolo trasse al palagio del Podestà con la stipa per ardergli la porta.
      «Giano, che era co' Priori, udendo il grido della gente, disse: Io voglio andare a campare il Podestà delle mani del popolo; e montò a cavallo, credendo che il popolo lo seguisse, e si ritraesse per le sue parole. Ma fu il contrario, chè li volsono le lance per abbatterlo del cavallo: il perchè si tornò a dietro. I Priori, per piacere al popolo, scesono col Gonfaloniere in piazza, credendo attutare il furore; e crebbe sì, che eglino arsono la porta e del palagio, e rubarono i cavalli e arnesi del Podestà. Fuggissi il Podestà in una casa vicina; la famiglia sua fu presa; gli atti furono stracciati; e chi fu malizioso che avesse suo processo in Corte, andò a stracciarlo: e a ciò procurò bene uno giudice, che avea nome messer Baldo dell'Ammirato, il quale avea molti adversari, e stava in corte con accuse e con piati; e avendo processi contro, e temendo esser punito, fu tanto scaltrito con suoi seguaci, che egli spezzò gli armari e stracciò gli atti, per modo che mai non si trovarono. Molti feciono di strane cose in quel furore. Il Podestà e la sua famiglia fu in gran fortuna; il quale avea menata seco la donna, la quale era in Lombardia assai pregiata, e di grande bellezza. La quale col suo marito sentendo le grida del popolo, chiamavano la morte, fuggendo per le case vicine, ove trovarono soccorso, essendo nascosi e celati.
      «Il dì seguente si raunò il consiglio, e fu deliberato per onore della città, che le cose rubate si rendessono al Podestà, e che del suo salario fusse pagato: e così si fe, e partissi.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
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