Mentre noi correvam la morta gora,
Dinanzi mi si fece un pien di fango,
E disse: chi se' tu che vieni anzi ora?
Ed io a lui: s'io vegno non rimango;
Ma tu chi se' che sì se' fatto brutto?
Rispose: vedi che son un che piango.
Ed io a lui, con piangere e con lutto,
Spirito maladetto, ti rimani;
Ch'io ti conosco, ancor sie lordo tutto.
Allora stese al legno ambe le mani,
Per che il maestro accorto lo sospinse,
Dicendo: via costà con gli altri cani.
Lo collo poi con le braccia mi cinse,
Baciommi 'l volto e disse: alma sdegnosa,
Benedetta colei che 'n te s'incinse!
Quei fu al mondo persona orgogliosa;
Bontà non è che sua memoria fregi;
Così è l'ombra sua qui furïosa.
Quanti si tengon or lassù gran Regi,
Che qui staranno come porci in brago,
Di se lasciando orribili dispregi!
Ed io: Maestro, molto sarei vagoDi vederlo attuffare in questa broda,
Prima che noi uscissimo del lago.
Ed egli a me: avanti che la prodaTi si lasci veder, tu sarai sazio
Di tal desio converrà che tu goda.
Dopo ciò poco, vidi quello strazioFar di costui alle fangose genti,
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.
Tutti gridavan: a Filippo Argenti.
Quel fiorentino spirito bizarroIn sè medesmo si volgea co' denti.
Quivi 'l lasciammo, che più non ne narro.
Inf. VIII. 31-64.
Dove, chi abbia a mente la pietà per lo più mostrata da Dante agli altri concittadini trovati ne' martirii, anche a un Ciacco e a tanti compagni di Brunetto Latini, non potrà non veder chiara orma d'offese reciprocamente esercitate, personali, gentilizie, o pubbliche, o tutte insieme.
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