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      Colui non sapea nè chi si fosse Dante, nè per quello che gli desse; se non che tocca gli asini forte, e pur arri. Quando fu un poco dilungato, si volge a Dante cavandogli la lingua, e facendogli con la mano la fica, dicendo: togli. Dante, veduto costui, dice: Io non ti darei una delle mie per cento delle tue.338 E disse pur bene allora: ma parrà forse ora a taluni, che avrebbe fatto meglio a non usar quelle due soverchierie manesche; le quali, ad ogni modo, confermano ciò che vedemmo, che i grandi d'allora, fra cui Dante, erano come oppressi, così pure sovente oppressori.
      Un'altra insolenza di parole trovo in un moderno, il quale non cita onde l'abbia presa. Stava Dante nella chiesa di Santa Maria Novella, meditando appartato ed appoggiato a un altare. Accostaglisi uno di que' fastidiosi che non intendon nulla a silenzio e solitudine, e nulla tengono bello se non il vano parlare. Sforzasi Dante in parecchie guise a farsene lasciare; ma non venendogli fatto, prima ch'io risponda a te, chiarissimi tu d'una mia domanda, dicevagli. Qual è la maggior bestia del mondo? – E rispondendo colui, che, per l'autorità di Plinio, credeva tosse il lionfante; – Or bene, riprese Dante, o lionfante! non mi dar noia: e si partì.339
      D'un altro fatto avvenuto a Dante in Firenze, ci è serbata memoria da lui stesso nel Poema. Trovandosi egli un giorno al Batistero di San Giovanni, dov'erano certi buchi, come che sia ed a qualunque uso congegnati, e vedendo entro ad uno di quelli annegare un fanciullo, egli lo ruppe per salvare la creatura; e pare che ne fosse poi accagionato come di dispregio al luogo, ovvero d'intromettersi in faccenda non sua, o chi sa altro.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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