L'Italia, pił lungamente libera o lottante, n'ha ventiquattro oramai; dai quali si potrebbe trarre una storia compiuta di ogni sorta d'esilii; una serie intiera d'esempi ed ammaestramenti a sopportarli. Abbiamo antichissimamente i Tarquinii cacciati per libidinosa tirannia, e sforzantisi di rientrare collo straniero; poi Coriolano virtuosamente uscito, ed egli pure empiamente tornante, ma rattenuto da privata pietą; poi il sublime esilio, il sublime ritorno di Camillo, capo di fuorusciti contro lo straniero, salvator della patria, creatore della grandezza di lei in Italia, e detto cosģ dai Romani secondo fondatore di Roma. Abbiamo quindi, fino al fine della repubblica, quasi tanti esilii quanti uomini grandi, invidiati gli uni dalla plebe, gli altri da' patrizii, e fra gli ultimi Cicerone; e finalmente, agli inizii dell'imperio, gli esilii per brighe ed invidie di palazzo, d'un Ovidio, un Tiberio, un Germanico. Cessata ogni libertą, ogni lotta, cessan gli esilii; parendo a quei tiranni la morte, se non pił crudele, almen pił pronto ed irrevocabile supplizio. Durante la barbarie, non essendo preferibile niuna terra, non si potrebbe dir esilio il vagar di tutti qua e lą. Ma risorgendo la civiltą e la patria fra le parti in Italia, risorse insieme quella loro conseguenza naturale degli esilii con tanta furia, che potrebbero questi cercarsi in ogni cittą quasi primo segno di lor libertą; chč quanto fu ognuna pił potente ed illustre, tanto pił grandi uomini fornģ alla storia degli esilii; e chč a tale storia, a tal politica trovasi ridotta quasi tutta la storia, la politica italiana per quattro secoli e pił, sforzandosi ogni prepotente di esiliare i pił deboli, e gli esiliati poi di ripatriare, per farsi essi esiliatori.
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