Pagina (269/525)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Il primo Trattato, poi, non è altro che una prefazione, dove, con povera similitudine, dice che laverà le macchie che potessero apporsi alla sua imbandigione; e sono il parlare di sè e lo scrivere volgare. Bella è la sua difesa dell'usar la lingua volgare; ma guasta anche essa dalle arguzie, e non comparabile a ciò ch'ei ne scrisse sviluppando i suoi pensieri nel libro dell'Eloquio.443 E pur bello e più importante, poi, al nostro argomento, è ciò che aggiugne all'altra sua scusa: «Ahi! piaciuto fosse al Dispensatore dell'universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata! chè nè altri contro me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d'esilio e di povertà. Poichè fu piacere della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuor del suo dolcissimo seno (nel quale e nodrito fui fino al colmo della mia vita, e nel quale con buona pace di quella, desidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco e terminare il tempo che mi è dato), per le parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente, io sono stato legno sanza vela e sanza governo portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertà; e sono vile apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma m'aveano immaginato; nel cospetto dei quali non solamente mia fortuna invilio, ma di minor pregio si fece ogni opera sì già fatta, come quella che fosse a fare.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





Trattato Eloquio Dispensatore Roma Fiorenza Bella