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      Bell'assunto, per vero dire, e che concorda co' soggetti da lui cantati nelle Canzoni del Convito, o almeno coll'interpretazione filosofica ivi data di esse. Vedesi in tutto, che contemporanee più o meno furono queste due fatiche del Convito e del Volgare Eloquio: quella assolutamente mediocre; questa, quantunque di gran lunga migliore, pur inferiore all'ingegno suo: e così quella lasciata per questa; questa in breve, per l'opera della sua gioventù, del suo amore, della sua virtù. Vedremo che, secondo tutte le memorie, un caso fu che gli fece riprendere tal'opera somma; ma fu un caso ajutato dalle disposizioni dell'animo e da questi primi studii ripresi. Già fin dalla Vita Nova, ei sentiva altamente della potenza della lingua volgare; vi ritorna nel Convito, deliberando scriverne espressamente; abbandona il Convito per ciò fare: ma interrotto nel farlo da nuovi accidenti dell'esilio, quando poi riprese il lavoro, riprende, delle tre opere interrotte, la maggiore, la più difficile, la più sublime di gran lunga; ma la riprende mutata dalle idee sue maturate sul Volgare; e tanto più volentieri, che queste sue idee lo liberavano quindi dalle pastoje della lingua latina, e quinci anche da ogni soggezione al proprio dialetto. Dirà forse taluno, che nello scuotere così ogni freno, Dante si procacciò non solo libertà, ma licenza. Ma dicasi quel che si voglia della teorica di lui, ella gli sarà da tutti perdonata, grazie alla pratica che ne fece. E del resto, tutti i grandi sono così, e valgono più in questa, che in quella.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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