La colpa di Dante verso i Papi non fu il male che disse di Bonifazio, di Clemente o di Giovanni; fu il bene che non disse di Benedetto buono contemporaneo suo,* e massime dei grandi e sommi predecessori di tutti questi, che per compier giustizia avrebbe dovuto. E vedesi quindi più che mai, se abbiano buona ragione i nemici dei Papi di vantarsi di quell'ira dantesca; la quale, dannabile o no nelle espressioni, sorse in età, e si rivolse contro tali Papi che fecero sì gran danno alla Santa Sede; ondechè quella si vuol dire figlia, anzi, di buono zelo a questa. Il rivolgere, poi, e generalizzare le espressioni di Dante da que' Papi traslatori della Sedia nel 1300, ai Papi così diversi de' nostri tempi, che vedemmo martiri per non la voler trasferire; è tale ingiustizia o mala fede, da non meritar isdegno nè risposta.
I danni politici, poi, venuti particolarmente all'Italia dalla traslazione, furono pure grandissimi. Già vedemmo scaduti i Papi dal principato di parte guelfa, e sottentrarvi gli Angioini di Napoli, e gli altri Reali di Francia. Dal misfatto d'Anagni in qua, tal principato, appena interrotto dal buono e breve regno di Benedetto XI, era diventato tirannia. E quindi pure nuova scusa all'ira di Dante contra quei Reali, e loro Parte oramai straniera. Il papa stesso, gli stessi Papi francesi e lor legati e cardinali, pur servendo a quella tirannia, sollevaronsi talora contro gli eccessi di essa, e facendo come Dante, si mostrarono di tempo in tempo quasi Ghibellini. Ciò è da tener bene a mente per intendere le vicende delle Parti, duranti questi anni 1305, 1306. Stavano per parte Bianca-Ghibellina Bologna, Pistoja, Pisa ed Arezzo.
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