»583 E così finisce, non senza arte servendosi del consenso almeno apparente del Papa alla discesa, per unire in favore di essa gli animi guelfi insieme coi ghibellini. Certo, poi, avranno i leggitori osservato lo stile barbaro degli stessi squarci recati, più barbaro e intralcialo ne' lasciati. Nè è diverso lo stile di Dante nelle altre lettere sue; le quali tuttavia, come vediamo dal Villani, furono ammirate in quel secolo. Osservisi poi quella biforcazione delle due potenze temporale e spirituale, che era grande idea del tempo, e che fu quella su cui Dante scrisse poi il libro della Monarchia. Ma principalmente s'osservi quel bell'avvertimento dato qui a tutti gl'Italiani: «non solamente serbate a lui ubbidienza, ma come liberi il reggimento;» che sembra un ammonire le città a non sacrificare il proprio governo, la propria libertà; onde si scorge, che la devozione d'un Dante non fu ne poteva essere mai servilità. E se noi condannammo la parte ghibellina men buona, e il rivolgervisi di Dante dall'altra men cattiva; tengasi a mente tuttavia, che tutte e due furono certo seguite sinceramente da molti, tutte e due così probabilmente da Dante. Professavano i Guelfi non meno che i Ghibellini devozione all'imperio; e la differenza stava solamente nella interpretazione e ne' limiti di essa, e poi nelle speranze delle due parti sui destini futuri d'Italia. I Ghibellini miravano principalmente all'unità, i Guelfi alla indipendenza. Due idee, due speranze e due scopi, non che scusabili, lodevolissimi certamente.
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