Difficile a dir, veramente, qual sia maggiore, la filosofica o la religiosa, tra queste due eresie.
Del resto, è da notar qui un altro errore combinato sì collo spirito ghibellino, ma diverso da esso. La terra nostra d'Italia è la sola del mondo che vanti due storie, due civiltà, due glorie; l'antica e la moderna. Da' Romani, fondatori e possessori di quella gloria antica, discende certo ancora gran parte della nostra popolazione onde è naturale che noi ci gloriamo di quelli. Ma tal vanto trae seco nelle nazioni, come negli uomini, due gravi pericoli: l'uno di rivolgersi a vergogna ne' posteri degeneri; e l'altro, forse peggiore, della intempestiva imitazione dei modi mutati dalle età, e della più intempestiva reclamazione dei diritti cancellati da quelle. L'imitazione di Roma antica, le stolte, scolaresche e puerili speranze di restaurar la potenza di lei, furono quelle che, forse più d'ogni altra cosa, sviarono gli animi italiani fin dalla caduta dell'imperio nel quinto secolo, a' nostri dì. Quelle rivolsero la popolazione italiana contra Odoacre, contra Teodorico, contra i Longobardi, e gli impedirono di generare dalla unione delle due schiatte, romana e germanica, un popolo solo. Quelle, rivolgendosi a Carlomagno per il nome d'imperio romano ch'ei seppe troppo bene usare a suo pro, diedero origine a siffatta spuria e infausta restaurazione. Poscia, al tempo della libertà, dei Comuni e delle Parti, quelle furono che esagerarono quinci e quindi Guelfi e Ghibellini: i Guelfi di Firenze, di Venezia, e forse di altre città e d'altri stati minori e posteriori, con la vana speranza d'arrivare ai destini di Roma antica; i Ghibellini, con quell'altro sogno di monarchia universale, qui non che confessato, ma professato da Dante.
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