E condanniamone pur Dante qui; ma non facciamo come tale che con siffatti guazzabugli volle spiegare e deturpò intiero il Poema divino. Di nuovo e di nuovo, difendiamo Dante dalle guastature altrui.
CAPO DECIMOTERZO.
FORTUNA, CADUTA D'UGUCCIONE. CAN GRANDE DELLA SCALA, DANTE IN CORTE A QUESTO.
(Novembre 1314-1318).
O insensata cura de' mortali,
Quanto son difettivi sillogismiQuei che ti fanno in basso batter l'ali!
Chi dietro a' iura e chi ad aforismiSen giva, e chi seguendo sacerdozio,
E chi regnar per forza e per sofismi;
E chi rubare, e chi civil negozio;
Chi nel diletto della carne involtoS'affaticava, e chi si dava all'ozio:
Quand'io da tutte queste cose sciolto,
Con Beatrice m'era suso in cieloCotanto gloriosamente accolto.
Parad. XI.
Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e Lucca, si apparecchiava alla maggiore delle imprese per un capo ghibellino, quella contra Firenze. E sì, che costui, già dall'Autor del Veltro dimostrato importante alla vita di Dante, fu pur tale per la storia generale d'Italia. Vedemmolo finora uno dei più attivi ed arditi fra que' podestà o capitani di popolo che cercavano fortuna in questa o quella città, e che così potrebbon chiamarsi magistrati di ventura; ed ora ei ci apparisce uno dei primi fra que' capi di soldatesche straniere, o capitani pur di ventura, che servirono, taglieggiarono e tiranneggiarono poi a poco a poco le città e le provincie d'Italia nel corso di questo e del secolo seguente, fino al primo terzo del XVI. Le imprese anteriori di Uguccione in Romagna, e nelle sue prime podesterie e capitanerie in Arezzo o in Gubbio, furono fatte più nella prima che nell'ultima qualità; non apparendo che avesse seguito di venturieri più che gli altri podestà o capitani.
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