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      Nè perciò si corra precipiti a condannar Dante d'essersi messo a tal repentaglio; nè si creda nessuno d'aver cuor più alto o più superbo di lui. Ei v'ha una cotal semplicità propria degli uomini veramente grandi, che li dà vinti alle istanze ed alle prime accoglienze altrui, e non li lascia accorgere delle umiliazioni se non quando sono adempiute. Dante poteva tenersi per pari di chicchessia, e credere di dare in qualunque compagnia tanto o più che non ne riceveva. Ad ogni modo, di tali superbie altrui e disinganni di lui, abbiamo non poche memorie. E prima, una lettera di lui, seguente probabilmente di poco il suo arrivo presso a Can Grande; la lettera con che rivolgeva a questo, tolta a Federigo di Sicilia, la dedica del Paradiso non finito, anzi nemmeno inoltrato.
      Incomincia così. «Al magnifico e vittorioso signore, il signor Can Grande della Scala, Vicario691 del sacratissimo e sereno principato in Verona e Vicenza,692 il devotissimo suo Dante Allagherio fiorentino di nascita, non di costumi, desidera vita felice per lunghi tempi, e perpetuo incremento del nome glorioso.
      «La lode della vostra magnificenza, sparsa dalla vigile e volante fama, fa così diversa impressione su diversi, che accresce agli uni le speranze, ed altri mette in terrore. Ed io veramente tal grido comparando co' fatti dei moderni, lo stimava superiore alla verità. Ma, per non durare in più lunga incertezza, come quella regina orientale che venne a Gerusalemme, come Pallade venne ad Elicona, così io venni a Verona a giudicarne fedelmente co' propri occhi.


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Vita di Dante
di Cesare Balbo
pagine 525

   





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