E notisi quel riporre fra esse i iura, e quel regnar per forza e per sofismi, che inteso o no contro al signore, doveva almeno lasciare un sospetto d'ingiuriosa applicazione nell'animo di lui.
In tutto, qualunque più generale o più precisa interpretazione diasi alle parole di Dante, elle s'accordan troppo colle memorie e co' documenti, per lasciare il menomo dubbio sulle mutue offensioni, e sul caduto favore dell'esule in corte. Ma Dante n'avea compenso in quel favor pubblico, che va e viene sovente in senso opposto; e in quell'applauso della gente volgare, che è solo segno di larga gloria. Così vedesi da una narrazione del Boccaccio, tanto più preziosa per noi, che ella pur ci dà il ritratto della persona di Dante all'età appunto del suo presente soggiorno in Verona, che era d'oltre a' 50 anni. «Fu, adunque, questo nostro Poeta di mediocre statura; e poichè alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto; ed era il suo andare grave e mansueto, di onestissimi panni sempre vestito, in quello abito che era alla sua matura età convenevole. Il suo volto fu lungo, e 'l naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi; e dal labbro di sotto era quello di sopra avanzato. Il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi: e sempre nella faccia malinconico e pensoso. Per la qual cosa, avvenne un giorno in Verona (essendo già divulgata per tutto la fama delle sue opere, e massime quella parte della sua Commedia la quale egli intitolò Inferno, ed egli conosciuto da molti uomini e donne), che passando egli davanti a una porta, dove più donne sedevano, una di quelle pianamente, non però tanto che bene da lui e da chi con lui era non fusse udita, disse alle altre donne: Vedete colui, che va nell'inferno e torna quando gli piace, e quassù reca novelle di quelli che laggiù sono?
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