CAPO DECIMOQUARTO.
UNA BELLA LETTERA DI DANTE. MONISTERO DI FONTE AVELLANA, BOSONE DA GUBBIO, PAGANO DELLA TORRE.
(1317-1319).
Alma sdegnosa!
Benedetta colei, che in te s'incinse.
Inf. VIII.
Vedemmo nel 1315 una quarta ed ultima condanna di Dante, pronunziata con altre dal vicario di re Roberto in Firenze, dopo la sconfitta sofferta a Montecatini. Cacciato poi, in sul principio del 1316, Uguccione di Pisa e Lucca, e diventata guelfa Pisa sotto Gaddo della Gherardesca, si conchiuse tra essa e Firenze ed altre città, addì 12 maggio 1317, una pace quasi generale in Toscana; restando sola nemica di Firenze, Lucca signoreggiata da Castruccio Castracani, già ambizioso, ma non per anco pericoloso. Quindi, finalmente, a moderarsi i timori e l'ire guelfe dei reggitori di Firenze, e ad ammettersi alcuni fuorusciti. Ma, come era stata guastata la prima moderazione dalle eccezioni, così fu questa dalle condizioni imposte a' ripatrianti. Era costume antico, al dì festivo in Firenze di San Giovanni, graziare alcuni condannati, offerendoli al Santo con una candela in mano, e facendo lor pagare una multa. Si ammisero in quell'anno della pace, probabilmente per la prima volta, i condannati politici, a questa grazia da malfattori. Un nipote di Dante ed altri suoi amici lo pressavano di accettarla egli pure. Un religioso, secondo l'uso dei tempi, facevasi intermediario della proposta; e noi siamo così fortunati d'aver la risposta di Dante. Altre lettere di lui abbiamo recate altrove, e non abbian saputo ammirarle.
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