E a questa credenza consente uno scoglio sporto sopra il fiume Tolmino, chiamato fino oggidì dalli paesani sedia di Dante; nel qual luoco la fama di mano in mano ha conservato memoria, che egli scrivesse della natura de' pesci.»732
È confermata tal tradizione del sasso di Dante, e del suo aggirarsi per gli antri Giulii, dal Boccaccio, nella sua lettera in versi al Petrarca.733 E dicesi che pur fosse dal nostro Poeta visitato Ugone conte di Duino, nel castello del medesimo nome, torreggiante su una rupe al di là dell'Isonzo.734
Ma questo rifugio presso a Pagano della Torre ci schiude un nuovo arcano dell'animo di Dante. Era Pagano, come il predecessore, di quella famiglia de' Torriani, stati a lungo capi guelfi di Milano; onde poi li vedemmo cacciati otto anni addietro, durante il passaggio e l'incoronazione d'Arrigo a re d'Italia. Quindi il rifugio di Dante, e, come dicesi, d'altri fuorusciti fiorentini in Udine,735 mostra moderazione di parte, non solo in chi dava, ma pure in chi accettò tal rifugio. Questo è incontrastabile; e tuttavia il Boccaccio sembra dirci tutt'all'opposto, che in questi ultimi anni e in Romagna, dove in breve vedremo finir Dante, egli fosse peggio che mai ghibellino. «Fu questo valentuomo in tutte le sue avversità fortissimo. Solo in una cosa, non so se io mi dica, fu impaziente o animoso, cioè in opera appartenente a parti; poichè in esilio lo fu troppo più che alla sua sufficienza non apparteneva, e che egli non voleva che di lui per altrui si credesse.
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