Tuttavia, fin dal principio dice Giustiniano a Dante d'imprender tal narrazione,
Perchè tu veggi con quanta ragioneSi move contra 'l sacrosanto segno,
E chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone.
Parad. VI. 31-33.
Ecco, dunque, non solo ripresi gl'Imperiali o Ghibellini combattenti sotto il segno dell'Aquila; ma ripresi nè più nè meno, imparzialmente e in un fascio, co' Guelfi avversarii di tal segno: E più chiaramente torna a tal comune condanna poco più giù, quando, finita la breve narrazione, ei fa da Giustiniano stesso conchiudere:
Omai puoi giudicare di que' cotaliCh'io accusai di sopra, e de' lor falli,
Che son cagion di tutti i vostri mali.
L'uno al pubblico segno i gigli gialliOppone, e quel s'appropria l'altro a parte,
Sì ch'è forte a veder qual più si falli.
Faccian gli Ghibellini, faccian lor arteSott'altro segno; chè mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte:
E non l'abbatta esto Carlo novelloCo' Guelfi suoi, ma tema degli artigli
Ch'a più alto leon trasser lo vello.
Molte fïate già pianser li figliPer la colpa del padre: e non si creda
Che Dio trasmuti l'armi per suoi gigli.
Parad. VI. 97-111.
Certo, ei parrà soverchio questo grand'amore di Dante alla sua cara Aquila, ch'ei chiama qui arme ed altrove uccel di Dio; che già vedemmo introdotta nella intralciata allegoria del fine del Purgatorio, e che vedremo tornare in modo fors'anco più strano, nè più poetico o felice, nel seguito del Paradiso. E certo, da ciò e da tutto veggiamo una gran devozione, superstizione o idolatria ghibellina.
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