Ma, in somma, Dante condanna qui evidentemente le due parti: Dante, dunque, non si professō nč dell'una nč dell'altra; e tra l'una e l'altra, come giā tra le suddivisioni de' Bianchi e Neri, ei non professō altro mai, che di far parte da sč stesso. Nella vita attiva prese prima una parte, e, pur troppo, scrivendo, poi un'altra. Ma, meditando e giudicando, in sul finir de' suoi giorni, dannō le due in generale; e volle star in mezzo e da sč. Non istettevi nemmeno allora, tratto che fu di nuovo dall'ira pių alla nuova che all'antica parte. Ma, in somma, la pretensione di lui di star in mezzo, č, se non altro, ossequio fatto da lui alla moderazione nelle parti, e quasi dichiarazione o protesta a mente riposata: la moderazione sola essere, in ultimo, da lodare.
Del resto, le due professioni di fede politica qui citate, essendo nel VI del Paradiso, furono certo scritte nella corte Ghibellina degli Scaligeri, e non nella Guelfa del Patriarca Torriano; ondechč non le apponga nessuno mai all'aver Dante di nuovo mutata parte per quest'occasione. Troppa mutazione fece egli una volta; non esageriamo quella, nč apponiamone altre. Bensė forse la innata moderazione tornō in lui, come succede, con gli anni e i disinganni. E forse poterono a ciō contribuire le scortesie della corte Ghibellina dello Scaligero, e le cortesie della Guelfa del Torriano, piegando all'une e all'altre talora anche gli animi pių tetragoni.
Perchč poi, come lo studio della storia conduce a moderazione, cosė la moderazione alla storia, molto probabile sembra la congettura dell'Autor del Veltro,737 che in Udine, alla corte del Torriano, e per istigazione di lui (noto confortatore delle storie, eleganti por quell'etā, d'Albertino Mussato), scrivesse Dante la storia delle due parli guelfa e ghibellina.
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