Sono i sette Salmi, come ognun sa, appello continuo alla misericordia di Dio, e così consolatori di tutti i cristiani pentiti; ma forse più specialmente di coloro che abbiano o credano avere, come Davidde, sofferto quaggiù dalla ingiustizia degli uomini, onde appellano pur rassegnati alla giustizia di Dio; e di coloro, poi, che sperando desiderino i loro cari perduti: ondechè ad essi gli suggerisce, pietosa madre, la Chiesa. Dante, invaso fortemente di questi due pensieri, doveva quindi dilettarsi molto in quei Salmi. E sovente aggiugne tali parole, che si riferiscono evidentemente alla vita, ai peccati ed alle occupazioni sue proprie; nè è sempre infelice, quantunque traduttrice, la poesia di lui. Così:
Aggi pietade de' miei gravi errori:
Però ch'io sono debile ed infermo,
Ed ho perduti tutti i miei vigori.
Difendimi Signor dallo gran vermo,
E sanami; imperò ch'io non ho ossoChe conturbato possa omai star fermo.
Salmo I.
Non consentir, Signor, che la potenzaDegli avversari miei più mi consummi,
E smorza in me ogni concupiscenza.
Dal mio Signore allora detto fummi:
Sì, ch'io ti darò, uomo, intelletto,
Per cui conoscerai li beni summi.
Poi ti dimostrerò 'l cammin perfetto,
Per cui tu possi pervenire al regnoDove si vive senza alcun difetto.
Degli occhi miei ancor ti farò degno ec.
Salmo II.
E così, quel principio del Salmo III dove egli aggiugne il primo verso, reminiscenza del Poema:
O tu che 'l cielo e 'l mondo puoi comprendere,
Io prego che non voglia con furoreOvver con ira il tuo servo riprendere.
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