E lascio finalmente anche la storia della famiglia di Dante: la quale si trovava in Ravenna alla morte di lui; ma in occasione probabilmente della cacciata di Guido, seguita poco dopo, tornò in Verona presso Can Grande, ivi si stabilì e propagò, tornando di rado alcuni a Firenze, e non cessando in linea diretta mascolina se non a mezzo il secolo XVI in Ginevra, che portò il nome e il sangue dell'Alighieri nella famiglia de' conti Sarego fino al presente.797 E questa certo è bella nobiltà. Ma noi lasciando tutto ciò, ed insieme le stesse opere minori di Dante, ci affrettiamo al fondamento della nobiltà da lui lasciata, al monumento massimo da lui stesso a sè fatto, al fonte di tante belle ispirazioni altrui, la divina Commedia. Ma non faremo più che un sommario della storia di essa: una distesa sarebbe poco meno che storia letteraria d'Italia.
Vedemmo poco prima della morte di Dante non mandati per anco a Can Grande, e così non pubblicati gli ultimi tredici Canti del Paradiso. Di questi, poi, narra il Boccaccio, che Dante si morì senza nemmen lasciarne memoria. «E cercato da quelli che rimasono, figliuoli e discepoli, più volte e in più mesi ogni sua scrittura, se alla sua opera avesse fatta alcuna fine, nè trovandosi per alcun modo i Canti residui; essendo generalmente ogni suo amico corruccioso, che Iddio non l'aveva almeno al mondo tanto prestato, che egli 'l piccolo rimanente della sua opera avesse potuto compire; dal più cercare, nè trovandoli, s'erano disperati rimasi. Eransi Iacopo e Piero figliuoli di Dante, de' quali ciascuno era dicitore in rima,798 per persuasione d'alcuni loro amici, messi a volere, quanto per loro si potesse, supplire la paterna opera, acciocchè imperfetta non rimanesse; quando a Iacopo, il quale in ciò era più fervente che l'altro, apparve una mirabil visione,* la quale non solamente dalla stolta presunzione il tolse, ma gli mostrò dove fossero li tredici Canti li quali alla divina Commedia mancavano, e da loro non saputi ritrovare.
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